Uccisione illecita e crudele di montoni: lo scopo religioso non può essere una giustificazione

L’abbattimento degli animali deve avvenire previo stordimento e siffatta condizione di perdita delle coscienza e della sensibilità va mantenuta sino alla morte

Uccisione illecita e crudele di montoni: lo scopo religioso non può essere una giustificazione

Catalogabile come illecita (e crudele) uccisione di animali, sanzionabile a livello penale, anche quella compiuta per scopi religiosi.
Questa la prospettiva tracciata dai giudici (sentenza numero 22294 del 13 giugno 2025 della Cassazione), ritrovatisi a prendere in esame il caso relativo ad una macellazione – di alcuni montoni - effettuata senza stordimento e, peraltro, in un’autorimessa, macellazione che non può essere giustificata con la fede religiosa.
A dare il ‘la’ alla vicenda giudiziaria è, quasi otto anni fa, il blitz compiuto a Cuneo dalle forze dell’ordine in un’autorimessa di una casa privata, autorimessa adibita a macello clandestino. Lì, difatti, vengono rinvenuti diversi uomini, tutti di origini marocchine, e, soprattutto, tre esemplari di montoni, precedentemente acquistati vivi, abbattuti tramite la iugulazione – ossia la scannatura – e successivamente decapitati.
Chiara l’accusa: avere prima sottoposto a sevizie e poi ucciso i tre montoni. Accusa solida, secondo i giudici di merito: difatti, gli uomini sotto processo vengono ritenuti colpevoli, sia in primo che in secondo grado, e condannati ad otto mesi di reclusione a testa. In Appello, però, vengono riconosciute la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna nei certificati penali richiesti ad istanza dei privati. Ciò alla luce di due dettagli: l’incensuratezza degli uomini sotto processo e la circostanza che la condotta delittuosa è stata originata dalla esigenza di rispettare un precetto religioso – la ‘Festa del sacrificio’ – imposto dalla fede musulmana, da essi professata, in materia di macellazione delle carni di animali commestibili.
Sulla valutazione dell’episodio concordano anche i magistrati di Cassazione, i quali precisano che non vi è alcuna possibilità di legittimare l’uccisione di animali col riferimento ad un credo religioso.
Prima di tutto, però, viene richiamato il dato normativo: il Codice Penale sanziona la condotta di chi, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale.
Passaggio successivo è prendere in esame i dettagli dell’episodio oggetto del processo. Nello specifico, si è appurato che in data 1 settembre 2017 – significativamente in coincidenza con una ricorrenza prevista dal calendario religioso islamico, denominata ‘Festa del sacrificio’, nel corso della quale, in ricordo del sacrificio, la cui narrazione è presente sia nella tradizione letteraria biblica che in quella coranica (sia pure con la differenza della figura del sacrificato: Isacco nella tradizione biblica; Ismaele in quella coranica), che il profeta Abramo, onde dimostrare la sua obbedienza al volere divino, sarebbe stato disposto a fare del suo stesso figlio, in occasione della quale i soggetti osservanti sono soliti procedere, secondo specifiche modalità atte a preservare la purezza del prodotto alimentare, all’abbattimento rituale di animale commestibili i cui singoli lacerti vengono poi distribuiti fra i fedeli — all’interno di un’autorimessa venivano trovate dalle forze dell’ordine talune persone e all’interno del locale venivano, altresì, rivenuti, oltre a coltelli insanguinati e materiale ematico sparso sul terreno, i corpi, uno dei quali già scuoiato ma non ancora depezzato, di tre ovini, di sesso maschile, uccisi attraverso la metodica della iugulazione – cioè attraverso la recisione dei vasi sanguigni del collo tale da determinare il rapido e completo dissanguamento della bestia – che non era stata preceduta da alcuna forma di stordimento dei medesimi animali, e tre altri animali della stessa specie, uno dei quali già presentava la comune legatura delle quattro zampe (cosiddetto ‘incaprettamento’) mentre altri due animali, in evidente attesa, come l’altro, di essere sottoposti anch’essi alla iugulazione rituale, erano custoditi in un angolo del locale.
Secondo la difesa, il fatto non rientra fra quelli stigmatizzati dalla norma, in quanto la uccisione delle bestie è stata finalizzata alla esigenza di procedere alla loro macellazione secondo il rituale metodo seguito nella religione islamica.
Secca la replica dei magistrati di Cassazione: la natura rituale, cioè legata al rispetto di determinate metodiche dettate dal credo religioso professato, non è di per sé fattore idoneo a scriminare la condotta. Certo, vi è il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma e di professarne il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume, e con tale espressione (“buon costume”) non si intende certo alludere, spiegano i giudici, alle sole condotte che, come invece avviene, per gli atti osceni, offendono, secondo il comune sentimento, il pudore, cioè a quelle condotte che avendo connotazione sessuale – tenuto conto della sensibilità dei consociati di normale levatura morale, intellettuale e sociale nell’attuale momento storico – suscitano nell’osservatore rappresentazioni e desideri erotici ovvero cagionano una reazione emotiva immediata di disagio, turbamento e repulsione in ordine ad organi del corpo o comportamenti sessuali, i quali, per ancestrale istintività, continuità pedagogica e stratificazione di costumi ed esigenze morali, tendono a svolgersi nell’intimità e nel riserbo, ma essa deve essere riferita al più generale concetto di boni mores e di honeste vivere il quale risulta indubbiamente violato ogniqualvolta un determinato comportamento si pone in contrasto con un precetto penale.
Pertanto, deve escludersi che, di per sé, il fatto di avere tenuto la condotta in ossequio ad un precetto religioso, ancorché lo stesso sia riferito ad un credo religioso avente una globale diffusione e sia liberamente praticato da una elevata percentuale di individui, anche all’interno dei confini nazionali, possa costituire un fattore idoneo a scriminare la predetta condotta, la quale deve essere, pertanto, scrutinata, quanto alla sua legittimità, secondo gli ordinari criteri applicabili a ciascuno dei consociati, sanciscono i magistrati di Cassazione.
Tornando poi a quanto previsto dal Codice Penale, anche le attività di macellazione animale debbono svolgersi in maniera tale da preservare – va realisticamente aggiunto, dato l’oggetto della normativa stessa, nei limiti del possibile – il benessere animale e all’interno di strutture soggette ad una procedura di riconoscimento pubblico preventivo tale da assicurare la loro conformità a norme tecniche applicabili in materia di sicurezza degli alimenti, con la precisazione che siffatte strutture debbono prendere espressamente in considerazione l’esigenza di assicurazione del benessere degli animali e dovendo, pertanto, ritenersi che a siffatte condizioni l’uccisione dell’animale, le cui carni siano commestibili, non vada intesa senza necessità.
Va poi tenuto presente che l’abbattimento degli animali deve avvenire previo stordimento e che siffatta condizione di perdita delle coscienza e della sensibilità va mantenuta sino alla morte della bestia. Tuttavia, tale prescrizione è derogabile laddove la macellazione avvenga attraverso l’applicazione di particolari metodiche prescritte da riti religiosi, ma ciò in quanto essa abbia luogo in un macello.
Tornando a quanto verificatosi in quel di Cuneo, si è appurato che l’avvenuta macellazione dei tre ovini di cui era avvenuta senza che si fosse proceduto al loro stordimento, e le operazioni, esecutive e prodromiche all’abbattimento delle bestie, si erano svolte all’interno di un locale abitualmente adibito ad autorimessa, quindi all’evidenza, non in un locale normativamente qualificabile come macello. E invece la deroga – prevista in ossequio alle esigenze connesse ad una ritualità religiosa – all’obbligo di procedere alla macellazione delle bestie commestibili previo loro stordimento è legittimamente operante solo in quanto siffatta pratica avvenga all’interno di un macello avente le caratteristiche normative per essere definito tale, mentre la deroga alla necessità di procedere alla ordinaria macellazione all’interno di una delle strutture aventi le dette caratteristiche, resa possibile dal fatto che le operazioni abbiano quale loro finalità l’uso domestico privato, non può estendere i suoi effetti anche alle eventuali modalità rituali della macellazione in assenza del preventivo stordimento della bestia. Difatti, vige il divieto, anche in caso di macellazione rituale, di metodi di abbattimento dell’animale che non siano stati preceduti da suo stordimento.
Tirando le somme, è sacrosanto parlare di uccisione di animali compiuta per crudeltà e senza necessità.

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