Procedura di liquidazione giudiziale: come provare la cessione di crediti in blocco
Il giudice deve procedere ad un accertamento complessivo delle risultanze di fatto, nell’ambito del quale l’avviso pubblicato in ‘Gazzetta Ufficiale’ può rivestire valore indiziario, specialmente se accompagnato da altri elementi quali la dichiarazione del cedente e la notificazione della cessione al debitore
A fronte di una procedura di liquidazione giudiziale, in caso di cessione di crediti in blocco, quando il debitore ceduto contesti l’esistenza del contratto di cessione, la prova della cessione non è soggetta a particolari vincoli di forma e può essere dimostrata con qualunque mezzo di prova, anche indiziario. In questa ottica, il giudice deve procedere ad un accertamento complessivo delle risultanze di fatto, nell’ambito del quale l’avviso pubblicato in ‘Gazzetta Ufficiale’ può rivestire valore indiziario, specialmente se accompagnato da altri elementi quali la dichiarazione del cedente e la notificazione della cessione al debitore.
Questi i punti fermi fissati dai giudici (ordinanza numero 26342 del 29 settembre 2025 della Cassazione), i quali partono da un dato di fatto: la legittimazione alla proposizione del ricorso per l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale è assoggettata alle stesse regole che presiedono all’analoga legittimazione alla presentazione del ricorso di fallimento. Difatti, la norma prevede che la domanda di apertura della liquidazione giudiziale possa essere proposta con ricorso, tra l’altro, di uno o più creditori. Così, la legittimazione alla proposizione della domanda di liquidazione giudiziale spetta, al pari di quella alla presentazione del ricorso di fallimento, al creditore, vale a dire al soggetto che deduca e dimostri in giudizio di essere titolare della pretesa ad una prestazione (anche non pecuniaria) rimasta, ovviamente, in tutto o in parte ineseguita. Non è necessario, però, che il credito azionato dal ricorrente sia stato definitivamente accertato in sede giudiziale né che sia portato da un titolo esecutivo: anche un credito contestato ovvero illiquido o sottoposto a termine non ancora scaduto ovvero condizione sospensiva non ancora verificatasi attribuisce al relativo titolare la legittimazione ad agire in giudizio per chiedere l’apertura, nei confronti del debitore, della procedura di liquidazione giudiziale, come, in passato, della procedura fallimentare.
In generale, poi, solo in caso di accertamento positivo del credito vantato, il soggetto può, quindi, ritenersi legittimato a proporre l’istanza di apertura della procedura di liquidazione giudiziale nei confronti del suo debitore. Perciò, non è sufficiente, per proporre l’istanza di apertura di tale procedura, come già del fallimento, la mera possibilità o probabilità dell’esistenza del credito né, a fortiori, che il soggetto si dichiari creditore, né, d’altra parte, la sola pendenza di un giudizio ordinario di accertamento del credito impone di per sé il rigetto della domanda di fallimento che il presunto creditore ha proposto, occorrendo, piuttosto, che si accerti, compiendo la necessaria attività istruttoria, che il soggetto sia effettivamente titolare di un credito.
Applicando questa visione alla vicenda in esame, si è proceduto al doveroso accertamento in ordine all’effettiva sussistenza del credito azionato dal soggetto che ha presentato istanza di liquidazione giudiziale e si è appurato che quello stesso soggetto ha dimostrato di essere creditore verso la società a rischio liquidazione in ragione delle cessioni in blocco di diversi crediti. E tale prova è stata dedotta dal fatto che tali cessioni di crediti emergono tanto, in via diretta, dagli avvisi pubblicati sulla ‘Gazzetta Ufficiale’, in ragione delle caratteristiche comuni ai crediti ceduti ivi indicate, quanto, in via indiziaria, dagli ulteriori elementi raccolti in giudizio, come la dichiarazione resa dalla banca cedente e l’intervenuta notificazione dell’(ultima) cessione (e, di conseguenza, di quelle precedenti) alla debitrice.
Su questo fronte i giudici tengono a ribadire che quando non sia contestata l’esistenza del contratto di cessione di crediti in sé, ma solo l’inclusione dello specifico credito controverso nell’ambito di quelli rientranti nell’operazione conclusa dagli istituti bancari, l’indicazione delle caratteristiche dei crediti ceduti, contenuta nell’avviso della cessione pubblicato dalla società cessionaria nella ‘Gazzetta Ufficiale’, può ben costituire adeguata prova dell’avvenuta cessione dello specifico credito oggetto di contestazione, laddove tali indicazioni siano sufficientemente precise e consentano, quindi, di ricondurlo con certezza tra quelli compresi nell’operazione di trasferimento in blocco, in base alle sue caratteristiche concrete. In tal caso, infatti, in mancanza di contestazioni specificamente dirette a negare l’esistenza del contratto di cessione, quest’ultimo non deve essere affatto dimostrato, poiché il fatto da provare è costituito soltanto dall’esatta individuazione dell’oggetto della cessione. Quando, invece, come nel caso in esame, il debitore ceduto abbia contestato l’esistenza stessa del contratto di cessione di crediti in blocco, ai fini della relativa prova non è sufficiente la notificazione della detta cessione, neppure se avvenuta mediante avviso pubblicato sulla ‘Gazzetta Ufficiale’, dovendo il giudice procedere ad un accertamento complessivo delle risultanze di fatto, nell’ambito del quale, tuttavia, la citata notificazione ben può rivestire un valore indiziario, specialmente allorquando sia avvenuta su iniziativa della parte cedente. In ultimo, poi, la prova della cessione di un credito non è, di regola, soggetta a particolari vincoli di forma e, dunque, la sua esistenza è dimostrabile con qualunque mezzo di prova, anche indiziario, e il relativo accertamento è soggetto alla libera valutazione del giudice di merito.